Paolo Pileri

È l’ideatore di VENTO, un’infrastruttura ciclabile che collega Venezia a Torino, scrittore di “Progettare la lentezza” e docente di pianificazione e progettazione urbanistica al Politecnico di Milano. Oggi intervistiamo Paolo Pileri, che ci insegna che una mente sempre accesa può anche viaggiare con calma. Anzi, è proprio così che non si spegne.

Com’è nato VENTO?

VENTO è nato nel 2010 dentro un laboratorio di ricerca urbanistico-ambientale del Politecnico di Milano di cui sono responsabile ed è nato per un intreccio di circostanze. Sicuramente una certa sensibilità per la mobilità ciclistica e il piacere di viaggiare in bici, ma soprattutto perché abbiamo intuito che la lentezza e le lunghe linee sulle quali percorrerla possono essere una straordinaria occasione di riscatto per i territori più fragili che poi sono anche tra i più belli. Siamo da subito partiti dicendo che VENTO era un progetto che ambiva a essere ben più di una ciclabile per essere un progetto di territorio, che vuol dire tenere uno sguardo non sulla bici, ma su paesaggio, società, bellezza, impresa, modello di sviluppo, ambizioni, giovani, agricoltura, cibo, buon lavoro, città, paesi, patrimoni, etc. La bicicletta diviene uno strumento per mettere in movimento un’energia sociale che torna a dare ruolo e protagonismo a quei territoricosì ricchi di storia, genti e risorse. Pensare la ciclabilità solo per la bicicletta o solo per spostarsi, significa non valorizzare a modo il potenziale della lentezza.

In che senso VENTO è più di una ciclabile, è un progetto sostenibile e inclusivo?

Il progetto che ha in testa VENTO ha a che fare con l’idea di un turismo leggero e capace di dare buon lavoro a chi lavoro non ce l’ha. Di mettere in luce i paesaggi tra le origini e le destinazioni dei nostri spostamenti. Di rimettere a farci vedere i luoghi dietro casa, quelli a 15 minuti da noi. Di portare un turismo non invadente e non di massa nei luoghi che non hanno turismo così da innescare un equilibrato flusso economico che a sua volta può integrare i redditi delle piccole e fragili attività commerciali locali o delle aziende agricole o dei piccoli servizi culturali come musei, mostre, parchi, ad esempio. Tutto e solo sotto l’insegna della sostenibilità più rigorosa. Le aree interne, a cui la filosofia di VENTO si rivolge per prime, possono beneficiare di questi turismi lenti se decidiamo di progettarli affinché siano organizzati per aiutare le comunità locali senza danneggiarle, senza scaricarvici impatti folli, senza omologarle. Si può fare. Non per caso, ma per volontà. Non per caso ma per progetto. Progetto culturale, politico, sociale e di territorio. Per questo diciamo che la ciclovia è una condizione necessaria ma non sufficiente. Occorre un progetto di territorio, di visione e tanta ambizione. Occorre dilatare il nostro sguardo su linee lunghe che vanno molto oltre la nostra miope architettura amministrativa dove ogni comune si fa la sua micro-ciclabile che spesso è sconnessa dal resto del mondo e finisce per non essere usata da nessuno.

Dovremmo riprogettare le nostre città?

Innanzitutto, dovremo riprogettare il nostro modo di tenere i piedi su questa terra. Prima dobbiamo tornare a capire come rispettare l’ambiente da un lato e poi dobbiamo acquisire soddisfazione culturale nel saperci agenti del rispetto: donne e uomini felici e realizzati perché amano l’ambiente attorno a loro. Questo vuol dire che impariamo cosa è la lentezza e cosa può darci prima ancora di imparare a viaggiare in bici senza capire bene perché lo facciamo. Questo vuol dire che capiamo che ha molto senso muoversi a piedi in città perché è semplicemente assurdo lasciarla divorare dalle auto. Ecco, prima di chiedere progetti faraonici per le nostre città, proviamo noi ad abitarle diversamente e magari impariamo che sono già in buona parte progettate splendidamente. Oggi siamo in un tempo in cui dobbiamo togliere più che aggiungere. Prenderci cura di quel che c’è già piuttosto che continuare a espandere le città consumando suolo e risorse preziose per tutti.

Durante un tuo TED Talk hai inneggiato al diritto alla lentezza, anche quando viaggiamo. Come frenare la nostra FOMO di voler vedere tutto?

La bramosia di veder tutto è spesso imparentata con il modello dell’accumulo compulsivo. Lo stesso che sappiamo essere altamente insostenibile. Vogliamo vedere tutto e andare in tutto il mondo più per dire a noi e agli altri ‘ecco, ci sono stato anche io’ che per capire dove sono andato e cosa era quel luogo. E poi spesso vediamo così tante cose in così poco tempo e così superficialmente che non ricordiamo nulla e quei luoghi poco o nulla ci insegnano. Già perché i luoghi insegnano ed è questo il loro più bel regalo alle nostre vite. Non abbiamo bisogno di vederne 1000. Ne bastano magari 10, ma vissuti con intensità, con dedizione, appassionandosi e cercando di capire e carpire i segreti. Scegliere la lentezza per viaggiare significa mettere al centro la possibilità di leggere i luoghi e gli abitanti e farli propri per sempre. Significa memorizzarli. Se invece corriamo sempre, saremo condannati a dimenticare quel che attraversiamo semplicemente perché i nostri occhi e la nostra mente non ce la fanno a fissare immagini e a capirle. In questo senso, noi abbiamo bisogno della lentezza come l’aria, perché con la lentezza ci orientiamo, comprendiamo quel che accade attorno a noi e capiamo pure chi siamo. Non possiamo vivere solo di velocità a meno di scegliere di vivere alienati. Ecco perché la lentezza è un diritto. Perché è un diritto vivere consapevolmente. Perché è un diritto la felicità. Perché è un diritto conoscere la bellezza del paesaggio. E la lentezza aiuta.

Quindi anche nella lentezza c’è energia?

C’è tanta energia nella lentezza ma soprattutto la lentezza fa da innesco a nuove energie: pensieri, incontri, scambi, conoscenze, apprendimenti… Sono tutti flussi energetici che possono accadere e mettere in movimento esperienze e sensazioni straordinarie. È un delitto rinunciare a quell’energia oltre a essere un continuo sprecare occasioni.

Per le tue vacanze: auto o bicicletta?

Non voglio cedere all’idea che esiste un mondo duale dove quelli che vanno in auto sono i cattivi e quelli che vanno in bici i buoni. Mi piace pensare e dire che dobbiamo imparare semplicemente a fare spazio all’idea che possiamo praticare la lentezza senza sentirci inferiori a nessuno e che tutti possono praticarla con vantaggi inaspettati. Ecco che allora io sceglierò la lentezza, ma non mi vergognerò se domani inizierò il mio viaggio con la bicicletta caricata sull’auto. Non mi sentirò un ladro di futuro perché avrò fatto un tratto in auto. Mi sentirei un ladro di futuro se non mettessi in conto di eliminare buona parte dei miei spostamenti che faccio in auto e che potrei fare tranquillamente in treno o a piedi o in bici. Mi sentirei un ladro di futuro se non contemplassi l’idea di dedicare tempo alla lentezza. Mi sentirei ladro di futuro se non accarezzassi l’idea di fare vacanze ed escursioni a piedi o in bici, portando i miei figli. Mi sentirei ladro di futuro se nel mio mestiere di ricercatore, divulgatore e studioso smettessi di raccontarvi che potremmo avere una società migliore rallentando. Buona lentezza a tutti. Ovvero tanta felicità.