Luciana Pedroni ci parla del ruolo imprenditrici agricole

La nuova frontiera dell’agricoltura è rosa. Viene subito in mente Rossella O’Hara che, in Via col vento, stringe in pugno una manciata di terra della sua «Tara». Oggi, anno 2020, un terzo delle imprese agricole italiane ha per titolare una donna. Una donna sempre più attenta al cambiamento e, per questo, pronta a cogliere la sfida della transizione digitale. Numeri alla mano, ad assicurarlo è Luciana Pedroni, responsabile Coldiretti Donne Impresa per l’Emilia-Romagna. Ragioniera che parla tre lingue, Pedroni ha 51 anni, una vita trascorsa in campagna «perché figlia d’arte» e due aziende di famiglia da mandare avanti: con il marito un allevamento di bovini di razza reggiana con tanto di vendita diretta di parmigiano reggiano; con la madre e la sorella un vigneto.

Pedroni, quante sono le imprenditrici agricole donne in Emilia-Romagna?

«Nella nostra regione, così come in tutta Italia, siamo davvero tante, circa il 30% del totale. Su poco più di 40 mila imprese presenti da Piacenza a Rimini, ben 11 mila sono guidate da donne. E anche quando il titolare è uomo, è molto alta la presenza femminile, soprattutto se l’impresa è familiare, come socie o come co-adiuvanti».

Quali sono gli ambiti in cui le donne sono più presenti?

«Le donne sono ovunque: dall’agricoltura classica, che va dalla coltivazione dei cereali all’allevamento, passando per i vigneti, alle nuove forme di agricoltura. Dopo l’approvazione della legge di orientamento e modernizzazione del settore nel 2002, ha avuto inizio l’era della cosiddetta multifunzionalità in agricoltura: l’impresa agricola non coltiva più solo materie prime o alleva bestiame, bensì può trasformare i prodotti e venderli in azienda, attivando un contatto diretto col consumatore finale. Un cambiamento che sono state proprio le donne a intercettare e a percorrere per prime. Quella che un tempo era l’economia domestica, il non buttare via niente trasformando gli avanzi e abbattendo gli sprechi, è diventata una vera e propria produzione di cibo, entrando a far parte a tutti gli effetti dell’economia reale di un’azienda agricola».

Che impatto ha avuto a livello sociale questa trasformazione?

«Un impatto enorme. Basti pensare alla nascita delle fattorie didattiche o alle vendite dirette nei mercati o ancora all’abbassamento dell’età media di chi vive di agricoltura. Sono in aumento i giovani, e soprattutto le ragazze che diventano grandi protagoniste nel passaggio generazionale, proseguendo l’attività di famiglia».

Il Covid ha avuto un qualche ruolo in questo processo di “ritorno alla terra”?

«Il ritorno alla terra è in corso già da qualche anno e, a dir il vero, con la pandemia ha avuto un piccolo stallo. Il ruolo delle donne in agricoltura è stato, però, fondamentale: durante l’emergenza hanno svolto un ruolo indispensabile di sostegno agli insegnanti nella didattica a distanza, offrendo spunti o percorsi virtuali, e alle famiglie, mettendo a disposizione  gli spazi aperti di aziende, agriturismi e fattorie per ospitare i centri estivi, accollandosi gli alti costi per assicurare agli iscritti il rispetto di tutte le normative anti-Covid (per saperne di più: Coldidattica)».

Che importanza ha la formazione nella capacità di cogliere nuovi sbocchi e opportunità?

«Coldiretti punta molto sulla formazione dei propri iscritti. La filosofia è quella di guardare sempre avanti. Realizziamo costantemente corsi per rimanere il più possibile aggiornati. L’ultimo che abbiamo promosso, e che è stato frequentato da oltre 40 imprenditrici agricole, è il seminario web organizzato in collaborazione con Inipa, l’Istituto per la formazione professionale agricola, che ha come scopo la formazione e la riflessione su temi del linguaggio digitale e del web marketing per l’agrifood, settore che vede una presenza sempre più significativa delle imprenditrici agricole in aziende di tipo multifunzionale. E nei mesi di confinamento questo tipo di formazione è stato essenziale, anche nella costruzione di alternative alla normalità e di acquisire un approccio diverso, efficace e più innovativo nella promozione delle proprie aziende».

Quali sono le prospettive future delle donne nel campo dell’agricoltura?

«Innanzitutto, è doverosa una premessa: Coldiretti ha affidato al movimento delle donne il percorso di educazione alla “Campagna Amica” e cioè quel patto stretto fra imprese agricole e scuola per veicolare, tramite laboratori in classe o all’interno delle fattorie didattiche, i principi della sostenibilità ambientale, della stagionalità dei prodotti e di un’alimentazione corretta. Per dare continuità a progetti come questo, che durante il lockdown è proseguito per via digitale, stiamo lavorando ad un piano di comunicazione nazionale per dare continuità, a partire dal 2021, ai percorsi avviati con un grande slogan: “Donne audaci alla guida dell’agricoltura di domani!”»

Si può dire che in agricoltura la forma mentis delle donne fa la differenza?

«Sì. È necessario superare quell’immagine stereotipata dell’agricoltore anziano ed ottuso che non esiste più. Ci sono sempre più aziende condotte da donne laureate che hanno portato nelle loro imprese il loro sapere e che hanno il pallino della formazione continua per restare al passo. Oggi anche il ministero dell’Agricoltura è guidato da una donna: la ministra Teresa Bellanova. Non credo sia un caso se per la prima volta è stato approvato un sostegno, il bonus “donne in campo” , a favore delle imprese agricole condotte da donne grazie ad un fondo rotativo di 15 milioni di euro. La finalità è favorire gli investimenti, con la possibilità di richiedere mutui a tasso zero fino a 300 mila euro per accrescere il rendimento dell’azienda e favorire una maggiore sostenibilità (attraverso la riduzione dei costi di produzione o la riconversione delle attività agricole), migliorare le condizioni agronomiche e ambientali, l’igiene e benessere animale e per realizzare infrastrutture utili allo sviluppo, all’adeguamento e alla modernizzazione dell’azienda. Una vera conquista per le donne e per il nostro settore».