Simona Fontana parla di imballaggi green e sostenibilità ambientale

Cos’è il CONAI? L’acronimo sta per Consorzio Nazionale Imballaggi. Senza fini di lucro, questa organizzazione costituisce da oltre vent’anni lo strumento principale attraverso cui i produttori e gli utilizzatori di imballaggi garantiscono il raggiungimento degli obiettivi previsti dalla legge per il recupero, il riciclo e la valorizzazione dei materiali: acciaio, alluminio, carta, legno, plastica e vetro. Simona Fontana è la responsabile del Centro Studi e dell’Area Prevenzione del CONAI e ci dà una buona notizia: «Abbiamo appena recepito il “pacchetto” di direttive dell’Unione europea sull’economia circolare e, come Italia, siamo sulla buona strada». Con una precisazione: più sostenibilità non significa eliminare gli imballaggi, ma fare in modo che essi contengano sempre più materiale riciclato e riciclabile.

Intervista a Simona Fontana, responsabile del Centro Studi e dell’Area Prevenzione del CONAI

Come certifica ogni anno il vostro bando per l’eco-design, sono sempre di più le aziende che rivedono i loro pack, riducendone l’impatto ambientale, e che imboccano la strada “green”. A che punto siamo?

«Grazie all’Osservatorio, unico nel suo genere, che ci è fornito proprio dal bando CONAI per l’eco-design, abbiamo registrato che un numero sempre crescente di imprese si sta indirizzando verso un percorso di maggiore sostenibilità ambientale dei propri imballaggi. Le aziende lavorano su più fronti, mettendo in atto azioni diversificate in funzione delle caratteristiche degli involucri, del settore applicativo e delle possibilità effettive di intervento».

Il CONAI ha dovuto fare un po’ di moral suasion sulle realtà economiche o c’era già sensibilità sul tema della sostenibilità?

«C’è una sensibilità di lunga data; una attenzione che, negli ultimi anni, ha conosciuto una indubbia accelerazione. Tra le motivazioni di questo trend c’è anche la crescente attenzione da parte dei consumatori sui materiali con cui si imballano i prodotti che acquistano».

L’attenzione per la sostenibilità del packaging come impatta sulla competitività delle imprese?

«La sostenibilità aumenta i costi ma l’imballaggio è anche lo strumento col quale una determinata azienda comunica al consumatore, e al mercato, il proprio impegno. L’imballaggio è un po’ come fosse l’ambasciatore della qualità di un marchio. Di qui il nostro bando: una iniziativa che fa emergere e premia le innovazioni. Se le prime edizioni avevano segnalato una predominanza di interventi legati alla riduzione degli spessori o del peso medio degli imballaggi, strategici per perseguire un maggiore efficientamento anche in termini economici; con le ultime edizioni stanno emergendo quegli sforzi con cui le imprese vanno ad agire sulla riciclabilità degli imballaggi e sulla riduzione dei materiali che li compongono. Una scelta che finisce con rendere più semplice per il consumatore finale anche la pratica casalinga della raccolta differenziata».

Si può scattare una fotografia dei settori in cui le aziende sono più virtuose?

«L’impegno che stiamo registrando è abbastanza trasversale. Lo scorso anno come CONAI abbiamo svolto l’indagine “Pensare circolare” che ha coinvolto un campione rappresentativo di 430 imprese italiane, distribuite nei diversi settori: ortofrutta e carne; biscotti e snack; birra e olio; farmaceutico; e-commerce; caffè; creme spalmabili; cosmetica; moda; lusso; pasta e derivati; acqua; detergenti ed elettronica. L’attenzione per le confezioni dei comparti dell’alimentare e della detergenza domestica, anche per una questione di dimensioni, è sicuramente la più performante. D’altronde, a questi settori appartengono i prodotti che più facilmente troviamo a scaffale».

A quale conclusione è arrivata la vostra indagine?

«La conclusione è stata che oggi le aziende che producono imballaggi mettono al primo posto la riciclabilità e, quindi, la ricerca di nuovi materiali o combinazioni di materiali che possano rendere gli involucri più facilmente riutilizzabili. Per il 46% delle imprese il raggiungimento di una sempre crescente sostenibilità dei propri materiali da imballaggio rappresenta una priorità molto alta tanto che lo scorso anno è stato avviato al riciclo il 70% delle confezioni immesse sul mercato».

Che effetto hanno avuto su questo processo di trasformazione l’epidemia da Covid-19 e  il conseguente aumento – Nomisma lo stima intorno al 33% – degli acquisti online?

«Il cambio delle abitudini accelerato dalla pandemia ha sicuramente avuto il suo peso. Tre gli effetti sostanziali. Primo, l’home delivery e l’e-commerce in generale sono diventate, a partire dal lockdown, due possibilità di acquisto molto esplorate. Secondo: una parte considerevole dei consumatori ha preferito acquistare prodotti confezionati. Sono diventate fondamentali l’igienicità e la salubrità di tutto ciò che entra nelle nostre case. Terzo: il boom dell’utilizzo di strumenti tecnologici per fare acquisti ha aumentato il livello di attenzione del consumatore sulle informazioni contenute in etichetta: dai materiali utilizzati fino alla loro tracciabilità».

Come il CONAI dialoga con le istituzioni?

«C’è molta collaborazione. Senza il confronto con gli enti pubblici e gli altri operatori della filiera durante il lockdown non saremmo riusciti, per esempio, a risolvere la criticità legate alla classificazione per codici Ateco delle attività essenziali. Fra le attività non essenziali c’erano, infatti, anche quelle del mercato di sbocco del riciclo. Un vero paradosso se si considera che sennò avremmo avuto anche un’emergenza rifiuti, le attività di raccolta non si sono mai fermate».

Pandemia a parte, quale messaggio di speranza potremmo dare?

«Per l’ovvia riduzione delle attività produttive la pandemia ha ridotto in maniera consistente gli imballaggi in circolazione. Il rapporto fra l’immesso al consumo e gli imballaggi che vengono riciclati è, però, in continuo aumento. Se nel 2019 il riciclo ha raggiunto l’ottima  percentuale del 70%, per il 2020 prevediamo di arrivare almeno al 71%.»